Migranti: non si argina il mare, né servono muri

 Istituita nel 2000 dalle Nazioni Unite, la Giornata internazionale del Migrante è celebrata ogni anno il 18 dicembre per richiamare la Convenzione Internazionale sulla Protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie. Adottata 30 anni fa dall’Assemblea delle Nazioni Unite, ma non ancora ratificata dalla maggior parte dei paesi europei, la Convenzione ha come obiettivo di fissare standard internazionali per il trattamento di chi cerca una vita migliore per sé e per i propri cari.

Suscita sentimenti contrastanti la lettura di quelle parole mentre davanti ai nostri occhi scorrono le scene drammatiche dei richiedenti asilo alle porte dell’Europa. Bambini, donne e uomini respinti con una violenza brutale, costretti a rifugiarsi nei boschi dove, per il freddo e la fame, trovano la morte. È vero, oggi si celebra la giornata dedicata alla specifica situazione di vulnerabilità dei lavoratori migranti e delle loro famiglie allo scopo di prevenire situazioni di sfruttamento del lavoro, ma in nessun modo è impossibile ignorare quel grido di dolore che dai confini della Polonia attraversa, per ora inascoltato, tutta l’Europa.

È illusorio pensare di fermare le ondate migratorie, la costruzione dei muri è soltanto una esibizione di forza allo scopo di non alienarsi le simpatie politiche dell’elettorato. È sufficiente osservare la curva della natalità italiana per comprendere che abbiamo bisogno di nuova forza lavoro e che nel futuro ne avremo sempre di più. Le forze politiche e i governi strumentalizzano il fenomeno per gli interessi e gli equilibri di politica interna. E nel frattempo i diritti dei migranti, che già lavorano e contribuiscono massicciamente al nostro benessere, vivono in condizioni degradanti, perdono la vita sui luoghi di lavoro, sfruttati dal sistema del caporalato, vittime di una moderna forma di schiavitù.

A 50 centesimi l’ora, impiegati nel massacrante lavoro della raccolta dei pomodori, nei campi aperti o nelle serre, è stato calcolato che le 14 ore al giorno lavorate consentono solo l’acquisto di un caffè. Molta parte dell’opinione pubblica ignora o fa finta di non vedere le condizioni di lavoro di migliaia di migranti, di vite vissute in contesti disumani, all’interno di baraccopoli senza acqua, luce e servizi igienici. Persone, intere famiglie dimenticate, lasciate senza alcuna tutela e senza alcuna assistenza sanitaria. Consapevoli, come assistenti sociali, della sofferenza di chi è costretto a vivere con la paura del ricatto, della povertà, della perdita di ogni speranza di una vita migliore, il nostro pensiero è rivolto a tutte le vittime di un sistema che non rispetta nemmeno i diritti umani fondamentali e inalienabili. Rivolgiamo un appello alla politica e alle istituzioni perché nel nostro Paese si intensifichi con ogni mezzo il contrasto ad ogni forma di sfruttamento e di schiavitù.