Non dimenticando quello che siamo stati e siamo, perché vinca la giustizia sociale

Ma davvero c’è ancora bisogno di celebrare la Giornata Internazionale dei Migranti nel nostro Paese?

Non ricordiamo le fatiche di zii, cugini, padri, fratelli che tra il 1861 e il 1985 sono stati tra i circa 29 milioni di italiani che hanno lasciato il nostro Paese? Di questi, più del 60% si sono definitivamente stabiliti all’estero.

Ed in tempi più recenti non abbiamo sentito parlare delle stesse fatiche delle generazioni perdute? I tanti che hanno lasciato l’Italia, la famosa “fuga dei cervelli”.

Oggi come allora, È noto che sono molte le motivazioni che spingono donne e uomini a lasciare casa, Paese e affetti per mettersi in salvo, cominciare una nuova vita. A volte si tratta spostamenti volontari, ma spesso sono forzati da fattori come l’aumento della portata e della frequenza dei disastri, delle sfide economiche e della povertà estrema o dei conflitti, la ricerca di migliori occasioni.

E ancora, cosa ancora non sappiamo delle conseguenze strutturali delle migrazioni che attraversano le regioni di partenza e le regioni d’arrivo?

Oggi sono più noti, ma come allora sono tanti gli effetti sia nel Paese di partenza che in quello di arrivo.

Sul piano demografico i primi perdono le classi giovani, possono esserci squilibri nel rapporto tra i sessi e per classi di età, si riducono i livelli di natalità, si interrompono legami famigliari. Dal punto di vista economico può esserci un rientro di valuta dall’estero che viene impiegato per il mantenimento di familiari e l’acquisto di beni di consumo, ma con il contestuale stravolgimento, o addirittura la scomparsa, di interi settori di produzione. E ancora, dal punto di vista socio culturale possono esserci delle alterazioni negli stili di vita, nelle relazioni.

Nei secondi, nei Paesi d’arrivo, assistiamo ad effetti positivi sulle classi di età giovanile e sul tasso di fecondità/natalità, incremento della popolazione locale, capacità adattive al mercato del lavoro soprattutto nei lavori rifiutati per la fatica che implicano, i maggiori rischi, i salari, la precarietà. Non possono essere però sottovalutati i rischi legati alla concentrazione etnica in contesti con limitati collegamenti, servizi igenico-sanitari adeguati, precarietà abitativa, marginalità, rischi per la salute.

E quindi perché abbiamo ancora bisogno di celebrare una ricorrenza che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 18 Dicembre chiamandola “Giornata Internazionale dei Migranti”, finalizzata a riconoscere il contributo dato da milioni di migranti alle economie dei loro paesi d’accoglienza e d’origine e promuovere il rispetto dei loro diritti umani fondamentali?

Forse perché continuano ad accadere incidenti simili a quello del 1972 quando un camion che avrebbe dovuto trasportare macchine da cucire ebbe un incidente sotto il tunnel del Monte Bianco e persero la vita 28 persone originarie del Mali che viaggiavano verso la Francia alla ricerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita. Partendo da quell’episodio e soltanto nel 2000, l’Onu istituisce la Giornata Internazionale dei Migranti.

Da quel giorno molte cose sono cambiate – le caratteristiche delle migrazioni, gli equilibri internazionali, il quadro normativo di molti Paesi – ma i migranti continuano ad attraversare il mondo. Si tratta di 280 milioni di persone che lasciano il proprio Paese alla ricerca di opportunità, dignità, libertà e vita migliore. Oggi, oltre l’80% dei migranti del mondo attraversa le frontiere in modo sicuro e ordinato, ma c’è anche chi arriva in un barcone che potrebbe affondare.

Gli assistenti dicono: #parliamodipersone. Lo dicono anche quando pensano alla necessità di un lavoro capillare per arginare pregiudizi sociali e atteggiamenti di razzismo che generano spesso intolleranza e violenza; alla necessità continua di azioni di advocacy sul piano politico e delle organizzazioni affinché vi siano risposte attente ai diritti di educazione, sicurezza, salute, religione, partecipazione alla vita sociale e politica. Tutte le volte in cui vincono il pregiudizio e la violenza, la giustizia sociale resta lontana e non possiamo voltarci da un’altra parte.